La donna era andata in caserma per denunciare il ragazzo, reo di aver usato violenza contro di lei. Ma il carabiniere che ha raccolto la denuncia la ha aggredita e stuprata.
Siamo a Mathi, nel torinese, dove una ragazza si è recata alla caserma dei carabinieri per denunciare le percosse subite. Ma il carabiniere che ne ha raccolto la denuncia poco dopo l’ha aggredita e violentata. L’episodio accadde nel 2013 ed ha distanza di 4 anni è arrivata la sentenza per il carabiniere.
Il carabiniere 39 enne Michele Doccini è stato condannato a 7 anni di reclusione, una pena maggiore rispetto a quella chiesta dal pm Ruggero Cupi, che in aula aveva chiesto una condanna a 6 anni di carcere. Il pubblico ministero ha ricostruito con precisione la terribile violenza subita dalla signora, una 40 enne residente in Canavese, che si era recata in caserma per denunciare i maltrattamenti subiti.
Queste le dichiarazioni del pm durante la requisitoria: “L’imputato ha raccolto la denuncia in cui la donna raccontava delle botte e dei maltrattamenti che subiva dal compagno. Approfittando della fragilità della persona che si trovava davanti, il carabiniere si sarebbe fatto dare il numero di cellulare e le avrebbe fatto persino delle avance mentre le faceva fare un giro delle celle di sicurezza della caserma“.
Successivamente il carabiniere si sarebbe offerto di accompagnare a casa la povera donna, insistendo nel voler controllare che il compagno non fosse in casa. La donna, accorgendosi dell’assenza del compagno, avrebbe tentato di congedare il carabiniere chiedendogli di andarsene. Ma l’uomo, insistendo a sua volta per accompagnare la donna fin dentro casa, ha dato inizio all’incubo. Varcata la porta d’ingresso, l’uomo le avrebbe detto minaccioso: “Bene adesso siamo in due, o facciamo sesso o ti bollo più di quello che ti ha bollato l’altro“.
La donna, nella speranza di liberarsi il prima possibile, ha ceduto al carabiniere: “L’ho lasciato fare, perchè quell’incubo finisse il prima possibile“. Dopo la violenza, per la donna è iniziato un secondo incubo, cioè il timore di non essere creduta e le minacce del carabiniere che si faceva scudo della sua posizione: “Mi disse più volte che tanto lui era un carabiniere – ha dichiarato ancora la 40enne – e che tutti avrebbero creduto alla sua versione dei fatti e non alla mia“.
I legali del carabiniere, Emanuela Bellini e Bartolomeo Petitti, tuttavia hanno già annunciato che faranno ricorso in appello.